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Il libro preferito di mia figlia è “Storie della buonanotte per bambine ribelli,” mentre il mio momento favorito è quando me lo legge. Contenendo storie reali di guerriere, matematiche, rapper e attiviste, si offre una raccolta variegata di racconti stimolanti su 100 donne eroiche, ciascuna delle quali ha scelto di sfidare e abbattere i pregiudizi.
Negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Australia, abbiamo dedicato il mese di marzo alla storia delle donne riflettendo sui contributi, spesso trascurati, che queste hanno saputo offrire nel corso del tempo. Abbiamo inoltre immaginato un mondo caratterizzato dalla parità di genere, libero da pregiudizi, stereotipi e discriminazioni; un mondo diverso, equo e inclusivo; un mondo in cui valorizziamo e celebriamo le differenze. In Genesys, abbiamo l’opportunità di ascoltare e condividere esperienze a livello globale perché noi tutte possiamo raggiungere il successo.
Ho però tratto ispirazione anche da un’altra raccolta variegata di storie vere le cui protagoniste, donne eroiche, sono questa volta le mie colleghe. Queste ultime hanno messo in mostra le loro vulnerabilità per rivelare un’incredibile solidità, forza e coraggio nel momento in cui hanno scelto di sfidare e abbattere i pregiudizi generati dalle pressioni sociali fronte carriera e famiglia. Ecco di seguito le loro storie.
Ho avuto la fortuna di crescere in due culture: quella tradizionale giapponese dove in famiglia gli uomini erano responsabili delle finanze e delle donne, e quella statunitense dove, indipendentemente dal tuo sesso, avere un’opinione era apprezzato. Sono andata a lavorare in Giappone, dove le donne non avevano pari opportunità sul lavoro oltre a risultare difficile per gli uomini sostenerle nella costruzione di una propria carriera. Se ad esempio gli uomini vanno in congedo di paternità probabilmente verranno scartati per una promozione.
Io desideravo qualcosa di diverso. Ho studiato e quindi lavorato all’estero. Mi sono sposata e ho partorito, e ho proseguito la mia carriera in ambito commerciale e marketing. La mia è stata una rapida crescita professionale sì impegnativa, ma anche gratificante e divertente. Nel corso della carriera sono stata motivata da vari mentori e, nonostante le pressioni sociali che ancora permangono in Giappone, io e mio marito agiamo da co-genitori di nostro figlio. Voglio essere un esempio vivente per le altre donne giapponesi, stimolandole ad agire con coraggio, a pensare in modo diverso e a sognare in grande.
In ambito commerciale, il tempo è denaro. Se io non lavoro nel mio territorio, lo fa qualcun altro. Mentre per la prima volta mi preparavo al congedo di maternità, ho fatto pressione su me stessa per tornare rapidamente al lavoro. Ho pensato che avrei assunto una tata e trovato facilmente un “equilibrio” tra carriera e famiglia. Non è andata così. In gravidanza, ci è stato comunicato che nostro figlio sarebbe stato affetto da una rara e grave malattia cardiaca congenita. Quando medici e parenti – che sapevano che non ero mai stata così in salute – hanno costantemente messo in discussione le mie abitudini, ho dovuto lottare contro un senso di colpa e vergogna. Dopo la nascita di mio figlio, per mesi io e mio marito siamo rimasti al suo fianco nel reparto terapia intensiva. Scioccati di essere lì insieme a tante altre madri che invece erano da sole, siamo stati testimoni di quanto la disuguaglianza fronte periodo di paternità sia negativo per tutti.
Adesso che sono rientrata al lavoro, continuo a impegnarmi per capire come “fare tutto” secondo le mie aspettative, senza perdermi. In passato ero concentrata sulla mia carriera, oggi è la mia famiglia ad avere la priorità. Devo diventare consapevole del modo in cui uso ogni attimo quotidiano e lasciar perdere quanto non posso tenere sotto controllo. Inoltre sto imparando che devo difendere tutta me stessa e non quella persona che la società si aspetta che io sia. Quando mi permetto di essere vulnerabile, posso eliminare le false narrazioni, aprire le porte ed entrare in una comunità di persone di cui ho bisogno e che a loro volta hanno bisogno di me.
Mentre crescevo nel Regno Unito, mia madre lavorava a tempo pieno, si occupava di tutte le faccende domestiche e allevava me e mia sorella. Secondo la società, lei “aveva tutto”, ma in realtà le mancava il tempo da riservare a se stessa. Ecco che all’inizio della mia carriera ho preso una decisione consapevole: aspettare ad avere figli. Sono quindi stata sottilmente marchiata per il fatto di essere una donna che non ne aveva. La percezione è infatti che, per avere veramente successo, non solo puoi, ma anche devi avere sia la carriera che la famiglia.
Non sono sicura di “avere tutto”, così come lo intende la società. Tuttavia sono certa che le mie scelte fronte carriera e famiglia siano quelle giuste per me. Il mio consiglio è di sentirsi a proprio agio e sicure delle proprie decisioni, senza avere alcun rimpianto.
Essendo cresciuta in Sudafrica, pensavo che avrei potuto lasciare il mio lavoro una volta diventata mamma, per dedicarmi alla famiglia. Là era la normalità. Invece, quando mio figlio è nato nel Regno Unito, sono rientrata al lavoro dopo otto settimane e ho deciso di viaggiare per lavoro dopo otto mesi. Ricordo di essermi sentita giudicata per questo. La famiglia e gli amici mi chiedevano: “Come puoi abbandonare tuo figlio? A tuo marito va bene occuparsi di lui?”. Io rispondevo: “Beh, è suo padre”. All’inizio inventavo scuse e razionalizzavo le critiche. Ma via via che sono maturata, mi sono sentita più sicura a testimoniare contro le micro aggressioni per aiutare le persone a pensare in modo diverso. L’esperienza di vita mi ha insegnato – e l’ho imparato a mie spese – che quando vedi che qualcosa non è giusto, devi seguire il tuo istinto. Fatti sentire e istruisci gli altri perché si sentano attrezzati per sapere cosa fare. Non temere di svolgere conversazioni scomode. Se non fai nulla, niente cambierà.
Sono così grata di poter lavorare per un’azienda che incoraggia l’apertura, accetta le differenze e consente di imparare reciprocamente. È questo di cui abbiamo bisogno e so che non lavorerei per nessuno che non lo renda possibile.
Vivendo in India, in tante occasioni ho portato il grande peso delle pressioni sociali. Dopo aver completato un master in ingegneria e in informatica, sono stata costretta a sposare mio marito. Restai scioccata nel vedere l’invito al mio matrimonio solo il giorno prima. Un mese dopo ero incinta, perdendo il lavoro. I miei genitori erano furiosi e ci siamo riconciliati solo dopo che durante il parto ho rischiato di morire. Tre mesi dopo ho ripreso la mia carriera e oggi vivo con altre nove persone, tra cui mio marito, i miei figli, i suoceri, mia sorella e la sua famiglia. Dovrei aiutare di più i miei genitori, ma mi risulta difficile visto che vivono a 700 chilometri di distanza.
Quando è arrivata la pandemia di COVID-19, in casa c’è stata una crisi finanziaria e tutti nella mia famiglia, tranne me, hanno perso il lavoro. La vita presenta degli ostacoli che possono essere fastidiosi e deprimenti, se si permette loro di esserlo. Io ho tuttavia scelto di non farlo. Il mio consiglio è semplice da dire ma più difficile da seguire: Non arrenderti mai. Sii forte e affronta le tue sfide a testa alta. Qualcosa che mi ripeto ogni giorno.
Dopo aver letto queste storie delle donne, ricordati che il termine “storia” deriva dal verbo greco antico che significa “chiedere”. In Genesys, i nostri valori sono radicati nella costruzione di un’organizzazione migliore in cui le nostre storie sono effettivamente ascoltate, comprese, ricordate e valorizzate. Tutto questo spesso inizia ponendo delle domande.
Quando ho incontrato queste donne, ne ho poste alcune e sono rimasta colpita dalle loro storie. Mentre le ascoltavo, ho sentito che i loro messaggi del presente rappresentan anche la nostra voce per il futuro.
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