In ambito customer service stiamo assistendo a un impennata dell’interesse per i nuovi strumenti abilitati dall’intelligenza artificiale (AI), che si tratti di sperimentazione, orientamento e implementazione. In particolare si parla di tutto quanto è destinato a semplificare l’operatività dei clienti e a migliorare l’efficienza degli agenti mentre interagiscono in tempo reale.

E l’intelligenza artificiale generativa sta potenziando molte di queste nuove iniziative, in particolare quelle incentrate sull’abilitazione degli agenti. Tuttavia, dato il rischio intrinseco di allucinazioni, questi nuovi strumenti tendono a integrare funzionalità “Human-in-the-loop” (HITL).

Questo blog è stato scritto da Adrian Swinscoe, Customer Experience Advisor, autore, relatore, workshop leader e aspirante punk in Punk CX.

In ambito customer service stiamo assistendo a un impennata dell’interesse per i nuovi strumenti abilitati dall’intelligenza artificiale (AI), che si tratti di sperimentazione, orientamento e implementazione. In particolare si parla di tutto quanto è destinato a semplificare l’operatività dei clienti e a migliorare l’efficienza degli agenti mentre interagiscono in tempo reale.

E l’intelligenza artificiale generativa sta potenziando molte di queste nuove iniziative, in particolare quelle incentrate sull’abilitazione degli agenti. Tuttavia, dato il rischio intrinseco di allucinazioni, questi nuovi strumenti tendono a integrare funzionalità “Human-in-the-loop” (HITL).

Per machine learning HITL si intende un tipo di collaborazione uomo-macchina che coinvolge persone che partecipano attivamente all’uso, alla valutazione e alla formazione di modelli e sistemi di intelligenza artificiale. In un contesto di customer service, gli agenti forniscono un feedback sulle previsioni, i suggerimenti e le annotazioni dei sistemi. In questo modo i modelli del sistema apprendono e migliorano.

Immagina, ad esempio, che un cliente invii un’e-mail riguardante un problema che sta incontrando. Il sistema “leggerebbe” automaticamente la richiesta del cliente e, in base a questo, consiglierebbe un articolo della knowledge base o una particolare soluzione che contribuirebbe a risolvere il problema.

L’operatore quindi valuterebbe, in base alla propria formazione, esperienza e comprensione del problema, se tale articolo o la soluzione proposta potrebbe risolvere il problema del cliente, deciderebbe se utilizzare o meno tale suggerimento e, allo stesso tempo, fornirebbe un feedback sul modello in merito all’accuratezza e all’adeguatezza del suggerimento fornito.

Fin qui, è tutto molto funzionale, sensato e abbastanza entusiasmante se si considera che l’accesso rapido all’informazione corretta è uno dei punti critici fondamentali per operatori e clienti. È anche un ottimo esempio di come sfruttare la voce dei dipendenti (VoE) e sfruttare l’intelligenza degli agenti.

Tuttavia, se riflettiamo bene, emerge qualche perplessità. I dubbi non riguardano l’avvento delle pratiche di HITL in queste applicazioni: ne condivido l’utilizzo per il monitoraggio, la moderazione e la formazione dei sistemi basati sull’intelligenza artificiale. La domanda che mi pongo è perché non sfruttiamo le conoscenze e l’esperienza degli operatori in altre aree del nostro business in cui potrebbero contribuire a migliorare le prestazioni e l’efficienza, in particolare nelle varie modalità di interazione e negli strumenti qui utilizzati, da noi e da loro.

Prendiamo ad esempio i chatbot. Che si tratti di bot rudimentali basati su regole, bot di intelligenza artificiale conversazionale o dei più recenti bot basati sull’intelligenza artificiale generativa, i chatbot sono e continueranno a essere fondamentali per le strategie di servizio di molti brand. Lo dimostra il Global Contact Center Survey di Deloitte Digital che ha scoperto che nei prossimi due anni nove leader globali su dieci si aspettano di investire in ulteriori funzionalità, con agenti virtuali e/o chatbot che giocheranno un ruolo cruciale in questo mix. In aggiunta, McKinsey ha scoperto che nei prossimi 24 mesi i bot di customer self-service saranno in cima alla lista delle priorità negli investimenti AI per i leader del customer service.

La sfida è che, nonostante il trascorrere del tempo e gli avanzamenti tecnologici, molti clienti non nutrono molta simpatia per i bot. Nel report “Lo stato della Customer Experience“, Genesys dichiara che negli ultimi anni la soddisfazione per i chatbot ha subito un calo. Nel 2017, il 35% dei consumatori aveva dichiarato di essere estremamente soddisfatto dei chatbot; nel 2022, solo il 21% lo ha confermato.

E non sono i soli. Secondo Harvard Business Review, per la quale un team di accademici della Oxford University ha condotto uno studio sulle interazioni dei chatbot nel customer service in un’azienda di telecomunicazioni (analizzando 35.000 interazioni con chatbot), il 66% ha ottenuto una valutazione della soddisfazione pari a 1 su 5.

Tra i motivi principali citati dai clienti che non simpatizzano per i chatbot figurano la mancanza di personalizzazione, l’incapacità di risolvere problemi che risultano chiari e semplici, l’impossibilità di passare alle chat Web online creando punti morti nelle conversazioni e la mancanza generale di fiducia che gravita intorno alla tecnologia e alle preoccupazioni per i dati e la privacy.

Tuttavia, la ricerca dell’Università di Oxford ha concluso che se le aziende devono fornire risultati migliori e raggiungere tassi di soddisfazione più elevati per le interazioni con i chatbot di customer service, “non solo è importante progettare con attenzione gli stessi chatbot ma anche considerare il contesto emotivo in cui vengono utilizzati, in particolare quando si tratta di interazioni con il customer service che implicano la risoluzione dei problemi o la gestione dei reclami”.

Una progettazione disarticolata dei chatbot

Ritengo che uno dei motivi principali per cui esiste questo deficit nel contesto emotivo è che nella concezione e nella progettazione dei chatbot le aziende non includono informazioni reali sui clienti e non coinvolgono esperti di conversazione. Approfondiamo con un paio di domande questo fenomeno:

  • Chi sono le persone esperte di conversazione con i clienti nella tua organizzazione?
  • Chi intrattiene le conversazioni più frequenti e disparate con i clienti su base quotidiana?

Nella maggior parte dei casi, la risposta a entrambe le domande è il tuo team di customer service.

Ora, prova a chiederti:

  • Quanti di questi ‘esperti’ sono coinvolti nella progettazione delle conversazioni che vuoi che i tuoi clienti svolgano con i chatbot?

Scommetto pochissimi, se non nessuno. E questo è un errore. Ma non c’è da meravigliarsi se si considera che, tradizionalmente, le organizzazioni non coinvolgono né consultano nessun dipendente nelle decisioni tecnologiche che interessano loro o i clienti.

Ad esempio, un sondaggio globale condotto da PwC su circa 12.000 persone in Canada, Cina, Hong Kong, Germania, India, Messico, Regno Unito e Stati Uniti ha rilevato che il 90% dei dirigenti ritiene che la propria azienda presti attenzione alle esigenze delle persone quando introduce nuove tecnologie, ma solo la metà (53%) del personale dichiara lo stesso. Inoltre, il 73% delle persone intervistate afferma di conoscere sistemi che li aiuterebbero a produrre un lavoro di qualità superiore, ma molti dirigenti e leader non attingono all’intelligenza collettiva dei loro dipendenti.

Questo comportamento deve cambiare. E non solo nell’ambito della concezione, della progettazione e dell’efficacia dei chatbot.

Per avere successo e per produrre risultati migliori per i nostri clienti, dipendenti e aziende, dobbiamo andare oltre ed essere più decisi nel modo in cui sfruttiamo l’intelligenza collettiva, le capacità e l’esperienza della rete di supercomputer biologici che già risiedono all’interno delle nostre organizzazioni, ovvero le persone e in particolare i nostri operatori del customer service.

In qualunque modo questo avvenga: che si tratti di un uso avanzato ed esteso di tecniche, come le iniziative VoE, per riuscire a raccogliere i loro preziosi suggerimenti e approfondimenti, o di coinvolgere proattivamente gli operatori del customer service (la mia opzione preferita) nella concezione e la progettazione delle svariate modalità in cui interagiamo con i clienti e degli strumenti utilizzati, da noi e da loro.

Solo allora saremo in grado di sfruttare la potenza di entrambi i tipi di AI: intelligenza artificiale e intelligenza degli agenti.

Per ulteriori informazioni, consulta il blog di Adrian, scarica l’episodio di un podcast o contatta Adrian per e-mail.